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La saga di Boccoli D'oro-Capitolo 1


di ArchieCooper
28.02.2023    |    9.790    |    16 9.7
"Sono un peperone in faccia per l’imarazzo, ma man mano che la testa dello zio va su e giù mi sciolgo e mi abbandono al piacere quasi svenendo..."
La mia storia è molto strana. Voglio raccontarla perchè so che è diversa, speciale rispetto a quelle degli altri. Mi chiamo Riccardo, ma tutti mi hanno sempre chiamato Boccoli D’oro. Mi chiamano così perchè ho i capelli ricci e biondi, come quelli di un principino. Ho anche gli occhi azzurri come quelli di un principe. Quando ero piccolo tutti mi scambiavano per una femminuccia e pure i miei modi sono stati sempre più delicati di quelli degli altri ragazzi.
Ai miei genitori non è mai piaciuta questa cosa, li ha fatti sempre arrabbiare e crescendo loro sono stati molto scortesi con me. A giugno ho compiuto diciotto anni e per papà era tempo che mi trovassi un vero lavoro da uomo. Mi ha mandato a fare il muratore, ma mi hanno cacciato dopo poco tempo. La fatica non fa per me. A me piace scrivere poesie e passare le giornate sdraiato sotto gli alberi in giardino a guardare il cielo. Mi piace molto anche guardare il mio corpo. Ho la pelle chiara e molto morbida. Non sono muscolo, ma neanche uno scheletro. Il mio corpo è ben definito. Le parti che mi piacciono di più sono le gambe, leggermente ricoperte di peli chiari, più fitti solo sui polpacci; mi piace il mio ventre dal quale emergono le ossa del bacino a formare un bel disegno che accompagna lo sguardo giù al mio pene. In terzo superiore alcuni ragazzi della scuola mi avevano costretto in bagno a farglielo vedere. Ridevano e dicevano che poi mi avrebbero mostrato il loro. Dopo averlo tirato fuori sono rimasti tutti a bocca aperta e non hanno mantenuto la promessa. So che è una parte che mi dà gioia, però è sempre complicato tenerlo bene nelle mutande. Mi costringe pure a portare pantaloni un po’ larghi, perchè m’imbarazza che si veda così pronunciatamente, mentre a me piacerebbe portarli attillati. Il mio culetto è la parte che mi piace di più. Lì non c’è nessun pelo e nonostante sia la mia parte più bianca dalle carni emerge del tenero rosa. È così morbido. Mi piace tanto affondarci le mani e tastarlo. E poi è sempre fresco.
Tornando alla mia estate, i miei genitori erano molto delusi del mio fallimento lavorativo, così decisero di mandarmi dallo zio in montagna. Il fratello di mamma è infatti un montanaro che fa l’allevatore e vive in una bella casa di legno con la moglie e i miei tre cugini. Elisa, Raimonda e Marco che è il più grande dei tre e ha la mia età. Non vedevo lo zio da diversi anni, secondo mamma era impossibile fargli lasciare la montagna.
Quando la zia venne a prendermi non potei non notare tutte le rughe sul suo volto. L’infelice veniva dalla città, si era trasferita sui monti per amor dello zio, ma mia madre mi aveva spiegato che stare così isolata dalla società le aveva fatto venire la depressione. Infatti nonostante fosse più giovane di mia madre, sembrava più vecchia di lei. Le occhiaie erano nere nere nere. Durante il viaggio in auto fumò come una ciminiera facendomi promettere di non dire nulla a mio zio.
Mio zio d’altra parte era un uomo che faceva paura. Me lo trovai davanti la porta e la prima cosa che notai erano quegli stivali così imbrattati di fango. Il mio sguardo percorse in lunghezza la sua enorme stazza. Sarà stato alto più di due metri, il peso superava il quintale, ma non era grasso bensì tonico. Le braccia erano enormi e muscolose, la pancia non era cascante, ma dritta e sembrava dura come il marmo. Il più grande mistero era il suo viso nascosto da una foltissima barba nera e neri erano anche gli occhi che sbacavano in mezzo ai folti e neri capelli mossi. Quando mi guardò negli occhi sentii il respiro bloccarmisi in gola.
Sistemai le cose nella stanza di mio cugino Marco. Lui mi sta molto anctipatico. È moro come il padre, ma è secco come un chiodo e quasi alto quanto lui. È uno di quelli sempre vispi che non stanno zitti un attimo. Le mie prime giornate passarono coi due uomini della casa a spalare merda di vacca e rifornire di cibo i cavalli, le oche e tutti quegli altri animali orrendi di fattoria. Mio zio si occupava principalmente della mungitura del latte, una parte che mi affascinava e che avrei voluto fare io. Quando glielo chiesi mi rispose secco che non potevo e mi rimandò a fare il mio lavoro.
La parte più inquietante con quella famiglia era condividere i pasti. Nessuno parlava, le perfide cugine mi scambiavano sguardi e ridacchiavano sussurrandosi cose all’orecchio. Un giorno mia zia disse allo zio che sarebbe stato bello andare in città una sera. Lui neanche le rispose. All’insistere di lei lui sbattè un pugno sul tavolo e la cacciò a mangiare fuori di casa. Era una punizione a cui la poverina doveva essere abituata. Prese il suo piatto di brodaglia e in lacrime si sedette fuori dalla porta. Lo zio evidentemente infastidito dalle sue lacrime la chiuse fuori. Ero dispiaciuto dalla situazione, mi si spezzava il cuore nel vedere mia zia trattata così. Almeno fu un pretesto per far smettere di ridere le due malefiche cugine per una volta.
Dormivo poco. Marco usciva tutte le sere e ogni volta che rientrava venivo svegliato dalla sua moto. Quando entrava in camera faceva un casino incredibile e si sbatteva sempre la porta alle spalle. Per di più inondava la stanza di puzza d’alcol. Una sera che era riuscito a non fare casino mi svegliai comunque e per poco non morii d’infarto. Sentivo la sua puzza d’alcol e il suo fiato pesante dietro l’orecchio. Cosa stava succedendo? Mi accorsi di una cosa strana. I calzoncini del mio pigiama erano stati abbassati e qualcosa di duro premeva lungo il solco del mio culo.
“Cosa fai?” gli chiesi preso dal panico.
“Niente, stai buono.” Sibilò lui e spinse con la punta contro il mio buchetto.
Spaventato e col cuore a mille gli mollai una gomitata. Si sentì un tonfo, era caduto giù dal letto. Mi girai e vidi nel buio che si rimetteva in piedi. Era nudo. Fra le sue gambe un grosso punto esclamativo vibrava nell’ombra.
“Vaffanculo!” mi urlò e si diresse verso il suo letto.
Io mi girai dall’altra parte, ma non chiusi occhio per tutta la notte. Anche se Marco non si fosse messo a russare giuro che non sarei riuscito a dormire per la paura.
Il giorno dopo il maledetto si vendicò e mentre spalavamo il letame me ne lanciò una palata abbondante sulla schiena sporcandomi tutti i boccoli d’oro. Le sorelle che guardavano dalla finestra si scompisciavano dalle risate. Scoppiai a piangere e corsi verso la latrina, incrociando mio zio che usciva dalla stalla.
Ero rannicchiato lì almeno da dieci minuti con le mani affondate fra le lacrime quando mio zio entrò senza bussare.
Con un grosso pezzo di stoffa mi ripulì i boccoli.
“Non piangere, Boccoli D’oro. Marco si prenderà una bella punizione per quello che ha fatto. Non ti preoccupare.”
Il suo atto di gentilezza mi scaldò il cuore. Sentivo difatti ancora più gelo del solito da quando mi ero trasferito lì. Sorrisi a mio zio e lui affettuoso mi diede un bacio sulla guancia.
“Che bello che sei” mi disse e sentii che stavo arrossendo.
Mi costrinse a guardare la punizione inferta a mio cugino. Piegato in avanti col sedere di fuori il poverino già piangeva. Mio zio gli sferzò più di cinquanta cinghiate sul sedere.
“Basta, ti prego!” urlava Marco durante i primi colpi. Presto le ferite cominciarono a sanguinare e solo quando Marco crollò per terra la mano di mio zio si fermò.
Durante questa azione io ero pietrificato. Avevo sì paura, ma allo stesso tempo ero emozionato. Lusingato sapevo che quella giustizia veniva fatta per me e per nessun altro. Era un gesto di affetto unico da parte di quel montanaro torvo ed era solo nei miei confronti. Quella sera mi addormentai sereno, sapevo che Marco rientrato a casa non mi avrebbe disturbato.
Fui svegliato da una manona che con forza mi scosse la spalla.
Era mio zio in canotta e slip bianchi.
“Vieni con me.” Disse.
Lo seguii in camera sua. Rimasi sulla soglia mentre lui si sdraiava a letto.
“Stanotte dormi con me” sentenziò. “Non voglio che Marco ti dia fastidio.”
“E la zia?” domandai.
“L’ho mandata a dormire con gli animali.” E sorrise.
Timido timido mi avvicinai al letto e mi infilai sotto le lenzuola.
L’enorme braccio dello zio mi circondò le spalle.
“Sai Boccoli D’oro, sono molto contento che tu sia venuto qui.”
“Anche io zio” risposi acorgendomi che qualcosa nel mio basso ventre stava accadendo. Arrossii e raggomitolai le ginocchia contro le gambe nel tentativo di nasconderla.
“Non te ne devi vergonare” disse il montanaro accorgendosene. “Sai fra uomini si fanno certe cose. Tu non le hai mai fatte Boccoli D’oro?”
L’altro braccio s’infila sotto le mia gambe e come se fossi fatto di paglia mi trasportò facendomi sedere fra le sue gambe. La mia erezione è lì bella evidente.
“Vediamo cos’hai qui” fa il porco e mi tira giù i calzoncini. Strabuzza gli occhi quando vede il mio pisello. “Dio, ma è impressionante!” fa con una voce che non gli avevo mai sentito prima e con la sua enorme bocca ci si fionda arrivando per intero fino alla base.
La prima onda di calore mi manda in estasi. Sono un peperone in faccia per l’imarazzo, ma man mano che la testa dello zio va su e giù mi sciolgo e mi abbandono al piacere quasi svenendo. Lo zio mi sostiene con un braccio sotto le spalle e l’altro sotto le ginocchia. Tirandomi su e riabbassandomi verso la sua bocca, mentre lui fa lo stesso con la testa. Fa un forte scrosio di saliva e ne vedo spesso colarmene lungo l’asta. A un certo punto sento che qualcosa dentro di me inizia a salire e io non mi trattengo più dal mugugnare.
“Piano zio, piano” faccio, ma non riesco a placare la fame della bestia.
Con un sibilo acuto vengo e la mia testa crolla mentre mio zio mi tira tutto verso la sua bocca e con un forte risucchio beve tutto il mio frutto. Dopo essersi staccato mi guarda. I suoi occhi sembrano carboni attizzati. Si lecca le labbra avido del seme che mi ha rubato per poi leccarsi il palato e assicurarsi di mandare tutto giù.
“Ti è piaciuto Boccoli D’oro?”
“Oh, zio è stato così bello”
Tira fuori il suo cazzo. Non è lungo quanto il mio ma è molto molto più grosso, con una bellissima splendida cappella rosa umida. Se lo sbatte sulla mano.
“Allora vuoi fare lo stesso a me?” chiede.
Preso dalle furie senza rispondere mi lancio e afferro il nervo del bue mentre chiudo gli occhi e mi avvento sulla cappella. Nella mia bocca c’è un sapore sublime di maschio. Sento lo sperma dell’eccitazione di mio zio per avermi succhiato, dell’urina che deve aver fatto prima di essermi venuto a svegliare. Le narici s’inondano di quell’odore celestiale. Gli stantuffo a tutta velocità l’arnese mentre la mia lingua scopre di poter fare abili giri intorno a quella cappella sacra.
“Piano” a un certo punto fa lui e mi afferra per i boccoli d’oro e tirandomi via. Ansimo come un cane, devo avere la bocca tutta rossa, mi sento le guance a fuoco.
“Prima di sborrare vediamo se la tua fichetta ha sete.”
Io non capisco e già l’animale mentre sto sdraiato sulla schiena ha sollevato le mie chiappe con le sue manone e infilato la sua lingua nel mio buchetto.
La nuova sensazione di piacere guida le mie mani dove devono andare. Una è intenta a masturbarmi, mentre con l’altra mi strizzo un capezzolo.
Quando sono stato inondato per bene zio mi mette un cuscino sotto il sedere e si toglie la canottiera. Il suo corpo enorme è una foresta di peli. I muscoli esplodono dalle sue braccia senza che li contragga.
Si sputa sul cazzo e me lo strofina sul buco. Io lo spingo verso di lui. Entra molto piano, prima solo con la cappella. Fa tutto lui. Quando mi sono adattato al suo cazzo lo spinge dentro per intero e mi fa male, mi escono anche due lacrime, ma non intendo fermarmi e neanche lui. Mi afferra per le caviglie e si spinge dentro e fuori di me. La sua pancia copre i miei gentiali, ma non ho bisogno di toccarmi. Sento che a ogni colpo orgasmo dentro di me e quando me lo dà con particolare forza mi si piegano le dita dei piedi.
Non contento il montanaro mi mette a pecora e sprimaccia le mie chiappe con le mani prima di riaffondarci il cazzo dentro. I suoi colpi in questa posizione arrivano come un martello pneumatico e il piacere è quadruplicato rispetto a prima.
“Sei una puttana Boccoli D’oro” mi fa.
“Sì!” urlò con la voce di una donna. “Sì zio sono la tua puttana, ti prego sfondami.”
La bestia non se lo fa dire due volte. La sua mano mi afferra il mento, le dita aggrappate ai denti. Prende a trivellarmi finchè non sborro e le mie ginocchia crollano. L’animale dà i suoi ultimi violenti colpi nel mio ano inondalo di calore liquido. Crollatomi addosso mi morde sul collo e rimaniamo così respirando intensamente finchè non ci addormentiamo.
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